L’ABATE ANTONIO STOPPANI IN TERRITORIO INSUBRICO
- by Francesca - Ven, 15/01/2016 - 06:45
di FRANCESCA STRAZZI, Dottore di Ricerca in Storia e Letteratura italiana dell'età moderna e contemporanea
Il fascino delle società primitive e la scoperta della loro presenza in alcuni luoghi, attira l’attenzione non solo di studiosi nel campo delle scienze e delle arti, ma anche di persone che semplicemente abitano in zone limitrofe ai bacini di ritrovamento. In provincia di Varese verso il finire del XIX secolo sono stati rinvenuti i resti di un insediamento palafitticolo e uno dei primi studiosi a giungere sul posto per accertare e documentare il fatto fu l’abate Antonio Stoppani. Ma chi era costui? E perché il suo nome è indelebilmente legato alla storia di Varese? Iniziamo dall’inizio: Antonio nasce a Lecco nel 1824 e dopo aver condotto gli studi classici, secondo l’usanza seminariale, si appassiona al campo delle scienze e della natura, divenendo professore di geologia presso il Reale Istituto Tecnico Superiore di Milano (attuale Politecnico di Milano). Essendo uomo di cultura la sua opera più famosa Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d'Italia si presta alla definizione di opera scientifico-letteraria, in quanto sin dal titolo sono chiari i riferimenti ai versi di Petrarca che nel Canzoniere così definisce la penisola circondata dal mare che va dalle Alpi agli Appennini, e a questo si aggiunge, nelle righe successive, la specificità tecnica del trattato, il quale si propone di mostrare la conformazione del territorio attraverso la caratterizzazione geofisica che gli è propria. In un’opera che vuole essere di larga divulgazione non possono mancare i riferimenti letterari e quelli particolarmente cari a Stoppani sono Dante e Manzoni, anche lui cresciuto nel medesimo ambiente del Nostro su “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte” (cit. Promessi Sposi). Come si nota anche Manzoni si dilunga nella presentazione del territorio in cui avvennero i casi di Renzo e Lucia, della sventurata monaca di Monza, del pio Cristoforo e del pavido Abbondio; ugualmente Stoppani nel suo testo ricerca una matrice ideologica per unire scienza e letteratura. Del resto il testo fu pubblicato negli anni Settanta dell’Ottocento, periodo particolarmente importante per la storia italica, in quanto, parafrasando D’Azeglio, fatta l’Italia appariva urgente la necessità di forgiare un popolo unito sotto un’unica egida. Stoppani sente impellente questo dictat e il suo lavoro si pone come scopo lo studio delle bellezze d’Italia per farne conoscere i singoli aspetti e creare un’identità nazionale che dalle specificità geografiche si sposti al piano morale nella strenua ricerca del bello e del bene (καλός καί αγαϑός). La finalità divulgativo-patriottica, ovvero la formazione della coscienza del neonato stato italiano, è messa a disposizione di tutti, tanto che l’opera si presenta suddivisa in serate in cui lo zio discorre con i giovani nipoti su varie questioni di storia, cultura e conformazione del territorio. Sin dall’introduzione Agli istitutori lo scrittore fa proprio il motto nòsce te ipsum ovvero conosci te stesso in quanto solo mediante: “la cognizione della sua storia, delle sue costituzioni, delle sue leggi, de’ suoi diritti, de’ suoi doveri, delle sue forze, del suo essere insomma, forma la sapienza di una nazione” (cit. dal Bel Paese). Nell’Appendice alla II serata l’abate nomina Varese tra le amene località lacustri oltre a quelle citate da Manzoni e Parini, site nella zona prealpina che vantano non solo il pregio di fauna e flora locale che arricchiscono la mensa del ricco (“i pesci persici di quel di Varese”), ma hanno il grande pregio di custodire sul proprio fondale i resti di antichi villaggi dell’età della pietra e del bronzo che lui stesso ebbe l’onere e l’onore di scoprire. Infine mi permetto di sottolineare una piccola curiosità legata alla storia del Bel Paese: in piena rivoluzione industriale, siamo nel 1906, il titolare dell’omonima azienda Galbani, decide di assegnare a un suo formaggio, vincitore del prestigioso premio all’Esposizione Internazionale del Sempione il nome del famoso lavoro stoppaniano. Questo dato appare ancora più rilevante alla luce della nostra disamina su Varese, in quanto si è appena concluso l’Expo 2015 che ha avuto il suo cuore pulsante nella città di Milano e dintorni, esattamente come accadde per quella fortunata esposizione milanese del 1906 che celebrava il traforo del Sempione. A ciò si aggiunge che il padiglione di Agraria, sezione in cui partecipò Galbani, fu molto apprezzato per la sua architettura liberty, stile che domina incontrastato a Varese e dintorni per tutto il periodo della belle époque e di cui ancora oggi possiamo rinvenirne i fasti.