MENEGHINO ALLA MADONNA DEL MONTE DI VARESE

  • by Francesca - Mer, 29/04/2015 - 13:45

di FRANCESCA STRAZZI, Dottore di Ricerca in Storia e Letteratura italiana dell'età moderna e contemporanea

L’incontro tra la letteratura e il Sacro Monte di Varese è fenomeno che ha visto approdarvi e decantarvi gli elogi molti scrittori, dal francese Beyle, più noto come Stendhal, al Balestrieri. Quest’ultimo dedica all’ascesa verso questa montagna dei versi spiritosi che evidenziano il suo spirito arguto e l’ironia rivolta, in questo caso, non contro mode settecentesche, ma verso se stesso. Del resto se vogliamo fare un breve tuffo nella memoria sono note le ascese verso il monte del Purgatorio compiute da Dante nel secondo libro della sua Commedia o possiamo ricordare le ascese del Petrarca al monte Ventoso, in Provenza. Nella simbologia letteraria le salite al monte hanno rappresentato per gli scrittori italiani fino al Settecento un viaggio alla scoperta di sé, dei propri limiti o della propria fede. Le Alpi e le Prealpi esercitano un potere immaginifico carico di sentimentalismo e sono improntate su un’estetica del sublime. Domenico Balestrieri, invece, scardina tali topoi e con spirito irriverente mette alla berlina se stesso nell’ascesa. Sì perché per essere un luogo di purificazione il tragitto verso il monte sacro deve essere compiuto in solitudine e con spirito contemplativo verso la natura nella speranza di giungere ad ammirare la pienezza del Creato. Ebbene il Balestrieri esordisce con il verso, parafrasato, ecco cosa vuol dire essere grasso. E cosa può voler dire? Significa farsi portare alla Madonna del Monte su una portantina e meno male, aggiunge lo scrittore, è rimasta intatta nonostante il peso che doveva sopportare. Inoltre l’attenzione dello scrittore non è catturata dall’amenità del luogo, come in altre circostanze in cui descrive la città, ma dallo sguardo dei passanti che, osservando la portantina, avevano pietà degli uomini che sostenevano «quell boccon del manzerlon» (grand pezzo di manzo). Uomo irriverente anche verso se stesso che nel Settecento ha saputo ridere di sé, sbeffeggiando certe mode comuni per farli portatori della propria profonda e “pesante” umanità.