UN “BRINDISI” NELLA VARESE DEL 1769
- by Francesca - Mer, 29/04/2015 - 13:42
di FRANCESCA STRAZZI, Dottore di Ricerca in Storia e Letteratura italiana dell'età moderna e contemporanea
Varese e la Lombardia sono in fermento a causa, o grazie all’avvenimento del 2015, l’Expo internazionale ospitato a Milano, dove si adibiranno spazi, mostre, curiosità e molto altro per accogliere viaggiatori e curiosi, uomini d’affari e faccendieri, single e famiglie e chiunque vorrà godere delle sue mirabolanti meraviglie. In un’epoca cibernetica in cui tutto corre a byte e le isole più remote del pianeta appaiono simili a paradisi terrestri, è bello riscoprire un turismo nostrano, un mondo a portata di mano dove quello che ci appare ogni giorno conserva una storia e porta con sé lo sguardo di chi ci ha preceduto. Allora perché non salire su questa fittizia macchina del tempo, segnare la data 1769 e riscoprire la nostra città attraverso gli occhi di un illustre poeta che veniva dalla Madonnina. Sì perché le bellezze della villeggiatura a pochi chilometri da Milano avevano fatto di Varese un affascinante luogo di turismo. Una meta amena che con i suoi giardini, le ville, i monti e i laghi era riuscita a conquistare Stendhal e a diventare il soggetto delle rime di Domenico Balestrieri, ritenuto un degno predecessore del Porta nelle composizioni in vernacolo milanese. Oggi il Balestrieri fa parte della tradizione letteraria italiana, una tradizione lasciata agli antipodi della poesia “alta” perché comica e irriverente; se fossimo a Roma sarebbe il Trilussa de’ noartri, ma qui da noi è solo il meneghin che ridendo ironizza sulle mode settecentesche di scrivere odi e sonetti per ogni occasione (nascite, matrimoni, morti, cerimonie, monacazioni e chi più ne ha più ne metta) e coinvolge i suoi illustri colleghi dell’Accademia dei Trasformati, tra i quali non si può dimenticare l’abate Parini, a scrivere rime in morte del suo gatto (Lagrime in morte di un gatto).
Ma torniamo a noi e al nostro viaggio nel 1769 quando il Balestrieri si trova a Varese, o meglio a Casbeno, ospite a villa Recalcati, gaudente e ben pasciuto, il nostro poeta ringrazia dell’ospitalità e dopo una premessa in italiano, suddivide il componimento Brindisi fatto a Casbeno nell’ecc.ma Casa Recalcati in due parti, perché per un brindisi il bicchiere va riempito e più ci si allunga in pause e più si può riempire il calice dell’ottimo vino servito dai padroni di casa. «Bevi donca e restori i laver secch; / Ma che no creden ch’abbia già finii». Il Balestrieri noto per la sua gioviale ironia, è ricordato come ospite divertente e sagace, capace di ridere anche dei propri difetti, sappiamo dalle sue liriche e dalle litografie del tempo, che era affetto da una certa pinguedine. Spirito gaudente, Balestrieri si compiace dei luoghi varesini e per rendergli omaggio, accompagna i versi dedicati alla città con un buon bicchiere di vino. La casa Marlianna (attuale Castello di Masnago) per esempio, è un luogo ospitale, data anche la giovialità e gentilezza dei padroni di casa, che fa pronunciare al poeta parole di elogio, simili a una réclame pubblicitaria: «Chì se bev e se pippa / tant de gust che poss dì quell c’hoo sentii / da on bergamasco: pissighee se podii». Affrettatevi se potete, perché Varese appare agli occhi del Balestrieri un luogo ameno, dove l’ospitalità degli amici, il tempo di vacanza e la bellezza del paesaggio rendono particolarmente gradito. L’anno successivo, nel 1770, vi ritorna per goderne della compagnia di amici e buon vino: «O magnifech Casben, ghe troeuvi chì / con fior de Damm, con fior del Cavaglieri» dove lui stesso si sente un signore, per questo, continua nel componimento, non riesce a lasciare la Varese della vacanza, con i suoi ampi spazi per tornare a Milano «strengiuu col coeur palpaa in pocch stanz». Ed è proprio la vastità degli spazi a rendere Varese così cara al poeta; in una canzonetta dedicata a quella che da lì a un secolo sarà detta Città Giardino, Balestrieri afferma che non potrebbe fare vacanza in un posto migliore, luogo scelto da duchi e principesse per l’aria sana a cui si aggiunge la meraviglia suscitata degli scenari lontani, montagne, valli e vigneti e da quelli vicini con lo torri, le chiese, i palazzi e le casette sparse sulla collina. Del resto anche senza la nostra macchina del tempo l’immagine di Varese, come si presenta da certi scorci, è la medesima: più ampia, più popolosa e progredita, certo, ma capace di conservare il suo volto settecentesco che, come scrisse il Balestrieri «innamoren a guardagh» e «ponn servì de prospettiv / de teater effetiv». Sì, allora affidiamoci a questo illustre turista del Settecento e impariamo a riscoprire le bellezze paesaggistiche e i tesori dell’architettura che ogni giorno la nostra città ci regala per godere, di tale prospettiva teatrale sulla nostra realtà di ogni giorno.